“Cancelliamo i nomi faziosi e chiamiamoci cristiani“. Incontro con Lutero in prospettiva ecumenica.” – Martin Lutero: 500 Anni dalla Riforma“ – ACIT Italo-Tedesco di Siracusa con Giuseppe Moscatt, 17. Giugno 2017
Introduzione
Desidero anzitutto ringraziarvi sentitamente per avermi invitato a questa conferenza a Guiseppe Moscatt e l’ACIT ITAL-TEDESCO di Siracusa. Io sono ora quattro anni in Sicilia come Pastore Luterano della comunità luterana di Sicilia, e dal primo giorno abbiamo sempre celebrato insieme un pensiero su Avvento e Natale.
Ma devo dire al inizio, secondo me, era un errore invitarmi, io sono solamente un pastore luterano semplice, tengo i grandi premuri, che questo incontro diventerà al fine un deluso enorme per l’auditorio. 🙂 E chiaro, ugualmente, per la nostra Comunità evangelica luterana di Sicilia e per me è una gioia speciale che l’ACIT trova spazio per trattare la vita e la teologia di Martin Lutero. Incontraci così e un segno bello e visibile che Martin Lutero, e le Chiese che si rifanno a lui, sono parte integrante della storia e della cultura della nostra fede. Il nostro incontro di oggi e importante e significativo, mi appare, perché ci confrontiamo nei contenuti con la persona e la teologia di Lutero, domandandoci: chi era Lutero e che cosa ha da dirci, oggi?
Ma attenzione, e veramente desiderato da me e fa parte della cultura nelle chiese luterane in tutto il mondo, faccio una relazione sulla teologia di Martin Lutero, sopra i suoi intenzioni, così spiego anzitutto il rapporto fra la chiesa cattolica e la chiesa luterana, anche in presentazione del documento „dal conflitto alla comunione“, è possibilissimo che al fine della mia relazione la vista del auditorio e assolutamente una altra che quello che io avrò rappresentato come conlusione!
Incontrarsi, imparare a conoscersi gli uni gli altri e comprendere meglio quel che è importante nella fede e nella vita dell’altro: è in questo che consiste un contributo decisivo, affinché tra le nostre Chiese possa crescere maggiore comunione, così come corrisponde alla volontà di Gesù Cristo.
Anche se l’inizio della Riforma risale 500 anni fa, e anche se su quasi nessun’altra figura del Medio Evo e del Rinascimento si è scritto così tanto come su Lutero, l’immagine del Riformatore di Wittenberg continua ad essere discussa. Fino ad oggi, in entrambe le Chiese sussiste una quantità di miti, clichées e pregiudizi nella considerazione di Lutero e nella valutazione della sua opera. Si trovano allo stesso modo interpretazioni “con e senza fondamento aureo”[1]. Mentre molti cattolici e altre chiese associano il nome di Lutero in primo luogo alla divisione della Chiesa d’Occidente, molti cristiani luterani vedono in lui un impavido eroe della fede, padre fondatore della loro Chiesa[1]. Ma entrambe sono semplificazioni e distorsioni. Possono essere molto diffuse, certo, ma non rendono giustizia a Lutero e impediscono di approfondire la comunione tra le nostre Chiese.
La grande opportunità per l’ecumenismo, offerta dalla commemorazione della Riforma, quest’ anno nel 2017, consiste nel fatto che il largo interesse e l’occuparsi intensamente di Lutero potrebbero portare a confrontarci con alcune “zone cieche” dell’interpretazione di Lutero e forse a superarle, in favore di un’interpretazione comune della Riforma, compiendo così un bel passo avanti sulla via dell’unità visibile della cristianità.
Naturalmente, non potremo fare, come se ciò che è accaduto in passato, non fosse mai avvenuto. “Ma ciò che si ricorda del passato e come avviene può cambiare davvero nel corso del tempo”[1] Riguardo a Lutero e all’inizio della Riforma, 500 anni fa, non si tratta, perciò, di “raccontare una storia diversa, ma di raccontare diversamente questa storia”[1], cioè di raccontarla come storia che, oggi, non ci divide più, ma ci unisce. Considerando la materia dalla prospettiva luterana, vorrei ora, con l’intenzione ecumenica, domandare che cosa Lutero ha da dire a noi e da quali sue idee teologiche possono derivare, oggi, impulsi per la vita e per la fede.[1] Nel farlo, mi concentrerò su cinque aspetti: Lutero come “maestro nella fede”; come “lettore della Bibbia”; come “testimone del Vangelo di Gesù Cristo”; come “Colui che chiama al rinnovamento spirituale” e come “promotore dell’ecumenismo”[1]. Dopo, in caso c’e ancora il tempo e per il dignoso auditorio e sia possibile supportare mio accento forte tedesco, presenterò il documento “Dal conflitto alla comunione” e la lettera di Segretario Generale della Federazione Luterana del Mondo e del Cardinale Walter Koch, stata publicata sei mesi fa . Questa selezione di temi, naturalmente, è soggettiva, ma in essa risiede l’opportunità, senza dover tenere in conto compiti ecclesiastici o riguardi particolari, di scoprire nuove vie nel rapportarsi a Lutero.
1. “Siamo mendicanti“ – Lutero, “maestro nella fede“
Chi legga gli scritti di Lutero incontra un cristiano profondamente pio che, nella sua attività teologica di monaco agostiniano, professore universitario e predicatore, cerca di trovare, per mezzo dell’interpretazione della Sacra Scrittura, risposte alle domande fondamentali della fede. Facendo questo, a Lutero non interessano né la speculazione intellettuale né la brillantezza. La sua ricerca della verità biblica, caratterizzata da forza intensa, onesta e di alto livello concettuale, mirava solo ed esclusivamente a consolare le coscienze afflitte e a renderle certe della loro salvezza. Questo orientamento esistenziale, spirituale e pastorale della teologia è un primo impulso che possiamo imparare da Lutero.
La questione decisiva, che mosse Lutero in vita, è stata descritta in modo pregnante da Papa Benedetto il XVI: “Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per Lutero la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio.”[1]
Dio, come si è espresso in Cristo e nella Sacra Scrittura, che testimonia di Cristo, e l’essere umano, che sta di fronte a questo Dio come peccatore e, al tempo stesso, come accolto, giustificato: sono questi i due poli che determinano il pensiero e la vita di Lutero.[1]
“Come le sue idee teologiche permearono la sua vita di cristiano può essere esemplificato in un piccolo appunto”, scritto da Lutero due giorni prima di morire, il 18 febbraio 1546. In questo testo scritto, Lutero riassume le sue esperienze esistenziali e stabilisce che si possano comprendere le Georgiche di Virgilio solo se si è stati per cinque anni pastori e contadini. E Cicerono non lo capirebbe nessuno che non abbia svolto attività politica per vent’anni. Lo scopo effettivo delle sue riflessioni, però, consiste nella dichiarazione seguente: anche la Sacra Scrittura si potrebbe capirla solo se la comunità avesse vissuto coi profeti per cento anni: quindi, è la conclusione che viene tratta, nel corso di una vita umana non ci si riesce. E così, guardando al suo occuparsi della Sacra Scrittura per l’intera vita, Lutero formula un’idea ermeneutica che vale per la sua teologia e la sua esistenza: “Siamo mendicanti. Hoc est verum (scil.Questa è la verità).”[1]
Non è un far mostra di modestia sul piano retorico, ma è il centro, contenutistico ed esistenziale, della teologia di Lutero. Era convinto che noi esseri umani stiamo davanti a Dio a mani vuote e che tutto quel che siamo e che abbiamo lo riceviamo da Dio. L’apostolo Paolo, tenuto in alta considerazione da Lutero, ha riassunto tutto questo in una breve domanda: “Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?” (I Cor 4, 7). Non si può descrive con maggiore concisione e semplicità il nocciolo della teologia di Lutero. Questa distinzione tra Dio ed essere umano è stata di continuo sottolineata e rifinita da Lutero, perché, per lui, la certezza nella fede è possibile solo se non dipende da noi umani, ma si fonda “su ciò che è fuori di noi (extra nos), vale a dire sulla promessa e verità di Dio, che non può ingannare.“[1]
Con la sua chiarezza teologica e finalizzando la sua opera in senso pastorale, Lutero è diventato un ”maestro nella fede” stimolante ed esigente.
2. “… chiare parole di vitae“ – Lutero, lettore della Bibbia
Chi legga gli scritti di Lutero, trova un cristiano che ha una “fiducia davvero avventurosa” nella Sacra Scrittura. È convinto che i testi biblici siano massimamente rilevanti per le persone che vi si imbattono secoli dopo la loro nascita. Il presupposto basilare di Lutero che nei testi biblici si trovi ciò di cui gli esseri umani cercano per la loro fede e la loro vita è uno stimolo ulteriore che può venirci da lui[1].
Quel che Lutero osservò, nella sua epoca, a proposito dell’uso della Bibbia, suona molto attuale; scrive: “È certamente una delle maggiori piaghe in terra che la Sacra Scrittura sia tanto disprezzata, anche da coloro che vi sono demandati a motivo del loro ministero. Tutte le altre cose, arti, libri sono oggetto di occupazione ed esercizio giorno e notte… Solo la Sacra Scrittura viene lasciata lì a giacere, come se non servisse.“[1]
Ma Lutero considera questo un errore, perché, nella Sacra Scrittura, non “sono contenute solo parole da leggere, come molti ritengono, ma vi sono contenute chiare parole di vita, che non sono poste per speculare e fare sublimi osservazioni, ma per vivere e agire.“[1]
Per tale ragione, Lutero, con la sua traduzione della Bibbia, con le premesse introduttive ai libri biblici, con le sue riflessioni su come intendere la Bibbia si sforza di creare le condizioni affinché ogni cristiano possa leggere la Sacra Scrittura.
Tre idee importanti guidarono Lutero in questo sforzo:
1) Primo: nella Bibbia, non troviamo un qualche genere di informazioni storiche, ma incontriamo la Parola di Dio. Lutero dice: “A chi crede nella Parola di Cristo e vi si attiene, il cielo è aperto, l’inferno è chiuso, il diavolo è catturato, il peccato è perdonato ed egli è figlio della vita eterna. Tali cose insegna questo libro, la Sacra Scrittura, e non le insegna nessun altro libro in terra. Chi vuol vivere in eterno, dunque, la studi con diligenza“[1] Poiché no, nell’incontro con la Parola di Cristo, non possiamo delegare, ognuno deve leggere la Bibbia da sé.
2) Secondo: Lutero parte dal presupposto che ogni essere umano possa comprendere sufficientemente la Bibbia. Non mette in discussione che i testi biblici siano diversi, alcuni facili, altri ardui da comprendere. Ma Lutero pensa che la Bibbia si apre alla lettura accurata. E ritiene la Sacra Scrittura capace di destare la fede per mezzo dello Spirito Santo. Proprio in questo risiede, secondo Lutero, la forza speciale e l’efficacia della Bibbia: “Essa non viene trasformata in colui che la studia, ma trasforma colui che l’ama, dentro sé e nelle sue forze.“[1]
Proprio questo capovolgimento dalla chiarezza esteriore a quella interiore della Sacra Scrittura è ciò che Lutero stesso sperimentò. Si, quest’esperienza costituisce il centro di ciò che è definito la svolta riformatrice di Lutero. Su questo cambiamento decisivo, Lutero riferisce, riandando ad esso con la memoria alla testimonianza su di sé del 1545. Questo testo, in cui Lutero descrive come si formasse in lui il senso del concetto di “giustizia di Dio”, viene di solito usato per determinare la datazione di quest’idea teologica. Ma non è un testo esclusivamente biografico. Invece, Lutero vi descrive se stesso come lettore esemplare della Bibbia, al quale il senso della Sacra Scrittura si apre, in modo nuovo, grazie alla lettura intensa, incessante della Bibbia, e per il quale, in tal modo, diventa vero ciò che il Vangelo gli promette. La forza liberatrice e fondante la fede di questa lettura della Bibbia si avverte ancora chiaramente nelle parole che Lutero trovò per questa esperienza, a ridosso del giorno della morte. Scrive: “Allora mi sentii proprio come fossi rinato e fossi entrato, da portoni aperti, nel paradiso stesso“[1]
3) In base alla sua esperienza personale di lettore della Bibbia, Lutero, per terza cosa, incoraggia ogni cristiano ad effettuare la propria lettura della Bibbia. Ecco la sua raccomandazione, che resta degna di essere meditata fino ad oggi: “Veglia, studia, leggi. Certo, non puoi leggere troppo la Scrittura, e quel che leggi non puoi leggerlo troppo bene, e quel che tu leggi bene, puoi non capirlo troppo bene, e quel che comprendi bene puoi non insegnarlo troppo bene, e quel che insegni bene, puoi non viverlo troppo bene.“[1]
3. “… di nostro Signore Gesù Cristo indegno evangelista“ – Lutero, “testimone del Vangelo”
Mediante i suoi scritti e anche nel suo annuncio e nella sua attività di docente, Lutero fu testimone del Vangelo di Gesù Cristo. La comprensione della giustificazione del peccatore, mediante la fede, come gli si era aperta nella lettura intensa della Bibbia, costituì, da ora in avanti, il centro orientante della fede personale di Lutero, della sua teologia e del suo annuncio. Lutero intendeva se stesso come “di nostro Signore Gesù Cristo indegno evangelista”, rendendo chiaro che quel che gli stava a cuore non era se stesso, ma soltanto la promessa e l’esigenza del Vangelo, da lui testimoniato.
Per tale ragione, Lutero si oppose con grande decisione a che il movimento, nato grazie a lui, portasse il suo nome: “Per prima cosa”, scrive Lutero, “chiedo che si voglia tacere il mio nome e che non ci si dica luterani, ma cristiani. Che cos’è Lutero? Nemmeno l’insegnamento è mio! Parimenti, non sono neanche stato crocifisso per nessuno. S. Paolo… non sopportava che i cristiani si dicessero paolini o petrini, ma voleva che si dicessero cristiani. Come potrebbe venire in mente a me, povero, puteolente sacco di vermi, di lasciare che i figli di Cristo si chiamino secondo il mio indegno nome? Non va, cari amici! Cancelliamo i nomi faziosi e chiamiamoci cristiani, da Cristo, di cui abbiamo l’insegnamento“[1]
Non è che adesso si debba cambiar nome alla Chiesa evangelica luterana. Ma l’argomento teologico ribadito da Lutero, rifacendosi all’apostolo Paolo, va tenuto sempre d’occhio, nel nostro essere chiesa: è nostro compito annunciare solo ed esclusivamente il Vangelo di Gesù Cristo. Quel che deve valere per il nostro annuncio è stato espresso da Lutero con la massima chiarezza: “Mediante il Vangelo ci viene comunicato ciò che è Cristo. Il fatto che lo conosciamo, cioè che è il nostro Salvatore, che ci libera da peccato e morte e ci aiuta a uscire da ogni sventura; che ci riconcilia col Padre e ci rende pii e beati senza le nostre opere. Chi non riconosca Cristo, erra. Perché anche se tu sai che egli è Figlio di Dio, morto e risorto, e che siede alla destra del Padre, non hai ancora riconosciuto giustamente Cristo…. perché devi sapere e credere che egli ha fatto tutto per amor causa tua, per aiutare te.“[1] Perciò ciò che interessa Lutero, essenzialmente, è questo, che è l’incarico fondamentale permanente della Chiesa: un annuncio del Vangelo che inviti alla fede in Gesù Cristo e che schiuda l’esperienza che l’opera salvifica di Cristo non è avvenuta a vantaggio di qualcuno in generale, ma a vantaggio nostro.
4. “… affinché l’intera vita del credente sia fatta di penitenza“ – Lutero, “Colui che chiama al rinnovamento spirituale”
Se ora ci volgiamo all’idea di “reformatio” in Lutero, allora per prima cosa va sottolineato che Lutero non pretese mai di essere riformatore della Chiesa né di portare alla riforma della Chiesa[1]. Anche l’idea del monaco che, in piena consapevolezza, attacca le sue Testi al portale della Chiesa del Castello di Wittenberg è sbagliata, indipendentemente dal fatto che l’affissione delle tesi sia avvenuta o no. E anche a Worms, dove Lutero, nel 1521, dovette presentarsi davanti all’Imperatore e alla Dieta per parlare e rispondere, non ebbe un comportamento arrogante. Invece, Lutero procedette, nella sua opera, con esitazioni e titubanze.
Certo non è solo la modestia ad impedire a Lutero di definirsi riformatore. A differenza di alcuni movimenti di riforma del tardo Medio Evo, Lutero non aveva un programma definito. Nella prima delle 95 Tesi, è chiaro che Lutero era convinto della necessità, basilare e la cui durata era lunga quanto la vita, che avvenissero conversione e rinnovamento nella fede e nella Chiesa. La tesi suona così: “Poiché il nostro Signore e Maestro, Gesù Cristo, dice: ‘Fate penitenza’ (Mt 4, 17), ha voluto che l’intera vita del credente sia penitenza.“[1]
Lutero sapeva che la chiesa necessita in ogni momento di riforma. Ma era convinto che tale riforma non potesse essere introdotta da un essere umano, che fosse il papa o che fossero i cardinali. Invece, la riforma era, in ultima analisi, solo una faccenda di Dio e questi soltanto conosceva il tempo in cui questa riforma sarebbe venuta[1].
Sotto queste premesse, Lutero fece una serie di proposte di riforma per emendare singoli fraintendimenti. Ma non pensava che determinati cambiamenti conducessero di per sé alla Riforma della Chiesa. Tale riforma doveva consistere nel fatto che tutta la pompa e le forme di signoria terrena dovessero essere tolte dalla Chiesa; che, invece, ci si dovesse orientare alla Parola e alla preghiera, seguendo l’esempio dell’apostolo, vivendo in povertà per la verità di Dio.
Anche se la concezione di Lutero di riforma non si è avverata e noi, oggi, usiamo questo concetto per definire un’epoca, varrebbe però la pena, e condurrebbe avanti, confrontarsi col fatto che Lutero non intese la Riforma come opera umana, ma esclusivamente come opera di Dio, che ha come premessa la penitenza, come riorientamento alla volontà di Dio e che avviene mediante l’ascolto della Parola di Dio.
5. “… allora non vogliamo solo portare il Papa in palmo di mano“ – Lutero, promotore dell’ecumenismo
Se i papi, da Paolo il Sesto VI in poi, hanno rimarcato che il loro ministero rappresenta il maggior ostacolo sulla via verso l’unità della Chiesa, si deve ammettere, con spirito autocritico, che un ostacolo altrettanto grande consiste nel fatto che molti, che siano luterani o cattolici, pensano di trovare in Lutero un rifiuto del papato. Ma, anche qui, vale la pena leggere direttamente Lutero, evitando di continuare a tenere vive interpretazioni erronee, coltivate attraverso i secoli.
Lutero, infatti, non voleva fondare una nuova Chiesa e non vedeva nemmeno, come scopo della sua opera, l’abolizione del papato. Invece, si volse contro gli abusi, presenti nella Chiesa cattolica del suo tempo, e, mediante riforme, volle contribuire a far sì che l’unica Chiesa di Gesù Cristo riconsiderasse il suo compito di annuncio del Vangelo.
Senza dubbio, Lutero, nel corso degli scontri con la Chiesa di Roma, venne ad esprimersi in modo critico, pungente e polemico sul papato. Ma vale la pena guardare qui con attenzione e domandarsi in che cosa consistessero gli argomenti teologici della critica di Lutero. Se si interrogano così gli scritti di Lutero, allora si vede che l’opera riformatrice di Lutero non ha il suo centro, come molto spesso si suppone, nella lotta contro il papato, e che la critica al papa non è, per Lutero, un “giudizio di base”, “ma piuttosto un giudizio relativo a fatti, che afferma: così stanno le cose nella mia epoca…“[1]
Nonostante l’asprezza con cui Lutero procede contro l’abuso che si faceva del ministero pontificio ai suoi tempi, egli non nega, però, la possibilità di un papato rinnovato, che abbia un compito legittimo di servizio all’unità visibile della cristianità. A più riprese, fa affermazioni che lasciano aperta la possibilità di un accordo con e sul papa. Perfino quando Lutero, allora, dubitò dell’attuazione di tale possibilità, pure disse: “Finora, abbiamo sempre offerto molto umilmente, al Papa e ai vescovi, in particolare alla Dieta di Augusta (nell’anno 1530), che non vogliamo distruggere i loro diritti e poteri ecclesiastici, ma che, dove essi non ci costringono a norme non cristiane, ci lasciamo volentieri consacrare e governare da loro…“[1] Le affermazioni più impressionanti di Lutero sono quelle contenuto nel suo commento ai Galati del 1531/1535. Di nuovo, fa capire qui che egli “sopporterebbe di buon grado la signoria del papa”, lo “onorerebbe e, a causa della sua persona, rispetterebbe, se egli mi lasciasse libera la coscienza“[1]. E poco dopo seguono le parole, meravigliose e intese seriamente da Lutero: “Se otteniamo che sia riconosciuto che Dio soltanto, per pura grazia, giustifica mediante Cristo, allora non solo vogliamo portare il papa in palma di mano, ma gli baceremmo anche i piedi.”[1]
Quindi, all’interno della Riforma luterana è restato “qualcosa come una speranza flebile, di solito coperta, in un papato rinnovato nel senso dei princìpi della Riforma”[1]. Poche cose mi sembrano essere, attualmente, così necessarie all’ecumenismo come il riallacciarsi a questo passo dell’argomentazione di Lutero. Perché, se si considera la posizione dei Lutero alla luce delle nuove esperienze con Papa Francesco, e si medita su di esse, allora si vede che, da molto tempo, nel dialogo ecumenico sul ministero del papa, si sono avuti e sono stati preparati molti sviluppi teologici che, se verranno considerati nella Chiesa luterana, adesso potrebbero aiutare a liberarsi dalla fissazione sul papato come “ostacolo” e, con Papa Francesco, che fa proprio quel che Lutero si aspettava da un papato rinnovato, inserirsi in un dialogo su un servizio, possibile e utile, all’unità della Chiesa e trovare soluzioni alle questioni aperte: come la necessità ecclesiale del primato del papa e il magistero infallibile. Lutero si rallegrerebbe se proprio lui avesse dato impulso a tale dialogo.
6. Conclusione del primo parte
L’arco che va dal 1517 al 2017 è teso. L’anno della commemorazione della Riforma offre un’opportunità importante di conoscere Lutero e, nel dialogo con lui, che sia come “Maestro nella fede”, “lettore della Bibbia”, “testimone del Vangelo”, “colui che chiama al rinnovamento spirituale” o “promotore dell’unità”, ricevere impulsi per l’essere cristiani, oggi, e per ottenere maggiore comunione tra le nostre Chiese.
1) “Incontrare Lutero“ – per i cristiani luterani, questo può voler dire non esagerare, esaltando Lutero, ma scoprilo come un “maestro nella fede”, ma non l’unico “maestro nella fede”; scoprirlo, invece, come personalità importante nella storia del cristianesimo, cui dobbiamo idee fondamentali della fede, in modo analogo, per esempio, ad Agostino, Francesco d’Assisi, Dietrich Bonhoeffer o Alfred Delp e che, come “testimone del Vangelo” ci vuole condurre alla Sacra Scrittura e a Gesù Cristo.
2) Non spetta a me formulare una valutazione analoga per i cristiani cattolici romani. Ma auspico, e ritengo possibile, che non trascuriate Lutero, ma che lo scopriate come importante “maestro nella fede”, che vale la pena meditare, perché dalle sue idee essenziali derivano stimoli importanti per l’essere cristiani, oggi.
3) Se noi, cattolici e luterani, possiamo incontrare insieme Lutero e, da lui, ci facciamo indicare Gesù Cristo, allora abbiamo una prospettiva buona e ricca di senso sulla commemorazione dell’inizio della Riforma, 500 anni fa. Allora, possiamo fare penitenza per le ferite e i dolori sorti dalla divisione delle Chiese. Allora, possiamo considerare con gioia e gratitudine gli impulsi spirituali che hanno aiutato entrambe le Chiese a rinnovarsi. Allora, il Vangelo può essere celebrato e trasmesso alle persone del nostro tempo. Se lo facciamo insieme, come “testimoni del Vangelo”, allora può diventare di nuovo chiaro che Gesù Cristo non è diviso, ma è uno (I Cor 1, 13). Allora, non ci accontentiamo dello stato attuale dell’ecumenismo, ma facciamo, con coraggio, passi ulteriori verso l’unità della Chiesa, agognata e sperata. Se noi vediamo in Lutero un “maestro nella fede” comune, e il Papa vede il suo ministero in modo conforme al Vangelo, allora non c’è più bisogno di molto. Allora, la porta dell’unità è spalancata. “Mettiamo da parte”, ci incoraggia Papa Francesco, “le esitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cfr Rm 5, 5) per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione.”[1]
Le migliori prospettive, dunque, per quella festa di riforma in 2017!
(Vi ringrazio dell’attenzione!)