Relazione mese di marzo


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La baracca dei preti ok

Carissimi soci e amici, il primo trimestre delle nostre attività si è chiuso alle soglie di Pasqua, con le ottime relazioni di Camillo Messina e Francesca Morale sul bel libro di Guillaume Zeller, Block 26 28 30, ovvero, dal titolo originale francese, La baracca dei preti. E a gennaio, la scelta delle opere poetiche di Dieter Schlesak, nonché La nascita della tragedia di Nietzsche a febbraio, commentate rispettivamente da Vivetta Valacca e Gianni Ghiselli, hanno rappresentato interventi culturale di spessore, ciascuno al culmine di un mese reciprocamente rivolti all’opera letteraria di un esule nel turbinio delle tragedie del ‘900, a loro volta profeticamente presagito da Friedrich Nietzsche, la cui poesia e il cui pensiero è stato sostanzialmente sviscerato proprio nella prima opera che lo pose all’attenzione della cultura europea, come ha già acutamente rilevato lo stesso Ghiselli, senza contare i frequenti passaggi della relazione dell’amica Vivetta, fautrice di quel metodo mito e sostanzialista instaurato dal filosofo sassone, che che proprio dalla Nascita della tragedia, fino al Al di là del bene del male, adottò la tecnica della critica alla storia e alla rivisitazione contemporanea del valore esistenziale del mito. Occorreva però mettere alla prova queste letture del ‘900: e quale poteva essere il campo migliore, se non nell’esperienza drammatica del totalitarismo nazista, soprattutto nella politica di annientamento delle opposizioni nei lager di concentramento? E qui, la terza tematica principale affrontata: Dachau, 1938/1945, il Block destinato alla prigionia, o meglio alla morte di stenti e di malattie, di un un pugno di uomini coerenti nella fede in Cristo Gesù, sacerdoti cattolici, protestanti e ortodossi, 1130 sacerdoti europei oppositori del Nazismo, difensori dei deboli di allora – e si può dire, gli immigrati non integrati né integrabili ……….. -, ma profeti di un Europa oggi non più intravista e negli anni ’60 portatori di quella speranza visibile che fu il Concilio Vaticano II. Fu la loro Shoah, pari a quella ebraica. E non è un caso che parecchi di loro, beatificati e santificati, risultano fra i Giusti delle nazioni, nominati nella stele che ora a Gerusalemme menziona coloro che hanno salvato in quegli anni gli ebrei perseguitati in Europa. Potete rileggere a margine di questo portale le riflessioni dei nostri relatori e quindi capire il valore del Volume, una originale ricerca che ha documentato la resistenza e la vittoria della Fede – e della Ragione! – sulle barbarie neopagane che la morte di Dio declamata da Nietzsche aveva avallato e diffuso. Se Dio è morto, allora tutto è possibile, disse Kirillov, un personaggio di Dostoevskij, morto suicida. Ebbene, la Shoah ebraica, l’olocausto cristiano di Dachau, fino ai morti in mare che quotidianamente vediamo, sono tutti dentro quella orribile conseguenza. Ma una speranza, anche per chi non crede, c’era, fin dalla enunciazione di quella orrenda massima: per contenere e per ribaltare quella spaventosa consecuzione, l’Arte poteva essere un aiuto, soprattutto perché il mostrare il dramma dell’esistenza, poteva alleviare i mostri dell’Io. Prima Nietzsche, poi Freud, fino al grido di Munch, al dolore colorato di Van Gogh, alle dissonanze di Schönberg, alle maschere nude di Pirandello, al realismo magico di Mann, e chi più ne ha più ne metta…l’Espressionismo, dunque. Tema che si è cominciato a sfrondare nel caffè letterario di marzo, affidato alla e chiare parole di Lidia Pizzo e Rafael Zammiti,che proprio di Van Gogh ci hanno dato le ragioni del suo passaggio dall’impressionismo francese ormai svuotato dall’istanza soggettiva, verso i nuovi lidi espressionisti che porteranno all’ideale e voluto disordine morale che avvolse l’espressionismo tedesco e il futurismo italiano prima della Grande Guerra. Il discorso continuerà ad Aprile con Kandinskij e a Maggio sulla Nuova oggettività, il ritorno all’ordine, ma anche il presagio del totalitarismo degli anni ’30. Ma anche una domanda, forse retorica, qui ci si pone e che ha costituito il sottofondo degli appuntamenti cinematografici: ove andava a finire la società capitalista di fine ‘800 se qualche maestro del sospetto non avesse avuto la forza di influenzare la cultura e la classe dirigente? Veramente, la morte di Dio aveva potuto aprire le porte al paganesimo di Rosenberg e all’Io assoluto della massa del compagno Stalin? E se Hitler avesse vinto, ricacciando gli angloamericani dalla Normandia? E’ noto che la storiografia tradizionale aborrisce la storia fatta coi se e ama naturalmente la hegeliana storia coi fatti e coi documenti. Si, il Terzo Reich non vinse ma dice Marc Bloch – uno dei maggiori storici del ‘900 – che anche il falso storico, il negazionismo di un evento avvenuto, perfino il silenzio assordante su un fatto, è pure storia, come la menzogna è pure parte della verità, anche a detta dell’onnipresente Nietzsche. Ebbene, il singolare tema della storia controfattuale – o anche ucronica per dirla come la definì il compianto Umberto Eco – può essere utile alla storia stessa. Ecco perché abbiamo proposto il film Fatherland del 1994, che ci parla della falsa vittoria del nazismo. Qui, al di là del tradizionale clima americano, non solo si gioca sugli aspetti particolari dello stato totalitario possibile anche al di là dell’oceano: ma anche sul silenzio sulla Shoah, forse il vero messaggio del film. E a questo del silenzio sullo stato totalitario e assolutista e sui suoi nefandi effetti, occorrerà tornare al più presto. Intanto, Auguri di una serena Pasqua.

Avv. Giuseppe Moscatt

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