Carissimi soci e amici, la ricorrenza dell’inizio della Prima Guerra Mondiale è alle porte (28-6-1914) e non potevamo tacere. Tre appuntamenti e tre punti di vista: Marino Freschi, nel caffè letterario del 6 maggio, ha posto l’accento sui letterati che nel decennio successivo ne hanno narrato le gioie iniziali, il dolorosissimo fronte e le illusorie speranze di pace definitive, poi divenute cause del Secondo Conflitto Mondiale. Il testo di Freschi, letto e commentato direttamente dai soci, ha rappresentato una singolare rassegna di autori noti e meno noti, tutti legati alla logica della trincea, quando, sbollita la tensione gloriosa delle giornate radiose di agosto, scese il grigio della trincea, fra topi, morti e batteri, dal cui cocktail venne poi la peste spagnola. Dopo quasi un cinquantennio di progresso sociale e scientifico, quando la tecnica ci permise di parlare a distanza, di volare e di guardare i virus che avevano massacrato intere popolazioni per secoli e secoli, la pace perpetua sembrava a portata di mano. Poi, la scintilla di Sarajevo ci svegliò. Il gioco delle alleanze e la speranza di Hesse – che gridava Oh amici, abbandonate questi discorsi di guerra – vennero a conflitto e la politica di potenza prevalse. Remarque, Jünger, Ungaretti, Lussu e tanti altri giovani intellettuali, cantarono e morirono, chi sull’altopiano, chi in pianura, chi in aria o per mare: 10 milioni di europei, secondo le stime più accreditate, morirono o rimasero storpi per sempre. Le classi dirigenti tedesche, francesi, russe inglesi, italiane, turche, statunitensi, vennero spazzate via. Crollarono imperi, scoppiarono rivoluzioni, crisi econmiche imperversarono. Cadde un’epoca e il ‘900, secolo breve per eccellenza, si accorciò ancora di più. Perché? Ancora lo si chiede. Gian Enrico Rusconi, con il suo ultimo libro, 1914, attacco all’occidente, prova a dare una risposta: descrive la meccanica degli eventi, risalendo al gioco delle alleanze rispettate, con la cambiale in bianco della Germania all’Austria/Ungheria contro la Serbia; parla degli accordi tiepidamente intesi, con l’Italia che si dichiarò neutrale per 9 mesi, eccependo la natura difensiva dell’alleanza che la legava alla Germania; e scava soprattuto sulle ragioni della guerra. Riprendendo alcune valutazioni dell’interventismo italiano – e del famoso direttore del Corriere della sera Luigi Albertini – Rusconi avanza l’interpretazione del rischio calcolato, che coinvolse tutte le cancellerie europee, le quali pensavano a pochi mesi di guerra di movimento, basandosi sul precedente di guerra lampo avutosi nel 1871, nella guerra fra Prussia e Francia. Non fu però una colpa collettiva, come emerse a Versailles nel 1919, responsabilità che peserà sulla Germania di Weimar, produrrà il Nazismo e la Seconda Guerra Monndiale. E non fu una guerra per caso, ma una guerra programmata esclusivamente dai Governi, che cessò presto nel suo spirito movimentista nell’autunno del 1914, divenendo fino all’estate del 1918, una guerra di posizione in trincea, che si risolse nella orrenda carneficina che sappiamo. Il suggestivo I sonnambuli, testo altrettanto recente dello storico inglese Clarke, non soddisfa nè Rusconi nè Noi: una guerra d’azzardo sì, ma non una guerra casuale, a pena di svalutare il corso delle cose, a pena di equiparare la notte nera in cui le vacche sono nere, come disse il vecchio Hegel. Rileggere i fatti per impedire che si ripetano, come ammonì Carlyle; ma anche riaprire archivi e testimonianze per capire, non per attribuire generiche colpe, scelta che, del resto, non ci esimerebbe da conclusioni analoghe sulla vicenda attualissima dell’Ucraina. Piuttosto, nel terzo appuntamento il film Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia, regia di Christian Carion, una diversa verità è venuta fuori, quando la sera di Natale del 1914 la Grande guerra si fermò sul fronte occidentale. Scrisse un soldato inglese alla propria sorella: Ci siamo accordati niente fuoco fino a mezzanotte di domani ha annunciato, il comandante. Ma tutte le sentinelle restino ai loro posti e tutti gli altri stiano sul chi vive. Nel frattempo grupppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee e venivano verso di noi. Alcuni di noi sono usciti anch’essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzare poche ore prima. Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme – non ti dico una bugia – Auld Lang Syne. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontrarci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio. Stavo tornando alla trincea quando un tedesco più anziano m’ha preso il braccio e ha detto: Dio mio, perchè non possiamo fare la pace e tornare a casa? Gli ho detto senza cattiveria: chiedilo al tuo imperatore. Lui mi ha guardato come scrutandomi: forse amico. Ma dobbiamo chiederlo anche al nostro cuore. Forse non sapremo mai perchè veramente scoppiò quel luttuosissimo conflitto; ma è evidente come arrestarlo sul nascere, senza indulgere in inutili rimpianti soprattutto evitando di dare colpe generiche. Questa testimonianza vale molto di più di tante retoriche manifestazioni.
Avv. Giuseppe Moscatt
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CAFFE LETTERARIO DEL 6-5-2014 |
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