1914: febbre d'agosto
Guerra! Qual senso di purificazione, di liberazione, d'immane speranza ci pervase allora! Chi scriveva così, non era uno di quei liceali accorsi, nell'agosto 1914, entusiasti ed idealisti al fronte come volontari, bensì Thomas Mann, a 40 anni e già considerato il principale autore tedesco. E non era solo: il 4 ottobre 1914 era stato pubblicato l'Appello al mondo della cultura, stilato da 93 tra i massimi pensatori, studiosi e scienziati tedeschi, e presto sottoscritto da altri 4000 intellettuali e accademici a favore della guerra di "difesa". Guerra di difesa, così l'intendevano tutti i belligeranti: l'Austria-Ungheria si sentiva minacciata dalla Serbia, che aveva organizzato il riuscito attentato di Sarajevo all'erede al trono, all'arciduca Franz Ferdinand; la Serbia a sua volta era provocata dall'ultimatum dell'Austria; la Russia mobilitava per difendersi dalla prepotenza degli Asburgo e soprattutto la Germania si vedeva sfidata dalla mobilitazione generale delle armate zariste. Gli alti comandi tedeschi misero subito in atto il piano strategico del generale Schlieffen (aggiornato dal capo di stato maggiore Moltke) per rompere l'accerchiamento, poiché con la Russia scendeva in guerra anche la Francia in base al patto di reciproca difesa. Per evitare di combattere su due fronti (per altro immensi), la strategia tedesca prevedeva l'invasione del Belgio neutrale per colpire a sorpresa da Nord la Francia e batterla per poi rivolgersi a oriente. Ma l'aggressione del Belgio comportò l'entrata in guerra dell'Inghilterra. E così la guerra divenne mondiale. Per dieci mesi l'Italia restò neutrale e manovrò con i vari contendenti. Il partito neutralista – con Giolitti, Croce, ma anche con i socialisti e i cattolici – avrebbe vinto se l'Austria avesse ceduto il Trentino e acconsentito alla fondazione di una università italiana a Trieste. A Vienna si tergiversava, e le promesse austriache (il famoso "parecchio si potrà ottenere senza guerra" proclamato da Giolitti) restarono vaghe e inconcludenti. Sotto la tremenda pressione degli interventisti, guidati da D'Annunzio e Mussolini, l'Italia abbandonò la Triplice Alleanza (con la Germania e l'Austria) per aderire all'Intesa ed entrare in guerra. Il paradosso fu che la guerra, scoppiata ad Oriente nella polveriera balcanica, si svolse soprattutto a Occidente. E non fu certo quella guerra lampo che i vari avversari si erano prefigurati con l'illusione di tornare a Natale a casa. L'offensiva tedesca fu bloccata alla Marna e il conflitto divenne la terribile guerra di trincea con milioni di morti, mutilati e invalidi. A un secolo di distanza quegli avvenimenti vengono riproposti da numerosi studi, tra cui uno assai esaustivo e rigoroso dello storico viennese Manfred Rauchensteiner (La prima guerra mondiale e la fine della monarchia asburgica 1914-1918, Böhlau, pp.1220, € 45), mentre da noi Il Mulino pubblica un'avvincente ricostruzione storica 1914: Attacco a Occidente (pp.320, €24) di Gian Enrico Rusconi, che torna su un tema a lui ben noto in precedenti saggi con una scrittura fluida, che fa rivivere, con vivacità narrativa il trauma della Grande Guerra, da cui (come mostra ancora la crisi in Ucraina) non siamo completamente usciti. Non a caso il libro dedica la parte finale all'attualità con un confronto con la Germania, ritenuta allora se non colpevole, almeno responsabile del conflitto. Ma il Reich guglielmino non esiste più: la Repubblica Federale è autenticamente democratica ed è finalmente un paese normale. Una volta riconosciuta questa radicale metamorfosi della Germania – così conclude Rusconi – la si può eventualmente criticare. Leggevo in questi giorni in un manifesto elettorale il provocatorio slogan Europei sì, tedeschi no. Il fatto è che i tedeschi d'oggi hanno – come osserva Rusconi – sempre di mira una più intensa integrazione europea. Si può affermare che l'Occidente ha finalmente vinto con la pace e che la Germania ha ritrovato in Occidente le sue radici spirituali, culturali, sociali e certo anche economiche.
Messaggero – Prof. Freschi