Carissimi soci e amici, le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto, è l’incipit dell’Orlando Fruiroso che mi sovviene, quando rileggo il titolo del libro di Domenico Ligresti, Le armi dei Siciliani, Cavalleria, guerra e moneta della Sicilia spagnola (secoli XV-XVII) presentato nella conversazione principale dei questo mese. Come sapete, ormai procediamo mese per mese a tema. E marzo ha avuto come punto di riferimento la storia locale: e centrale non poteva non essere la storia della Sicilia dal ‘400 alla metà del ‘700, fra Aragonesi, gli spagnoli castigliani e poi gli Asburgo, fino agli Austrias e ai piemontesi di Vittorio Amedeo II, nel breve regno che lo vide governare dopo la pace di Utrecht, alla fine della guerra di successione spagnola, fra il 1713 e il 1720. Poi la seconda guerra di successione spagnola fra Spagna e la quadruplice alleanza guidata dalla Gran Bretagna, portò in Sicilia l’alleato impero asburgico fino al 1734. E la Sicilia viene abilmente sezionata dal Ligresti nelle sue componenti sociali ed economiche, nel solco della critica crociana che rilevò il ruolo centrale del Mezzogiorno nel respingere i continui tentativi da Nord da parte della Francia – ricordiamo le note vicende di Messina schierata a favore di Luigi XIV a metà ‘600 contro la Palermo spagnola – e da Sud da parte dei Turchi e dei pirati barbareschi, che vedevano la Sicilia come una ghiotta preda da conquistare proprio perché posta al centro del Mediterraneo. E poi, l’immancabile critica alla Spagna dei Carlo V e dei vari Filippi per la loro politica fiscale e per la mancata redistribuzione del prodotto locale in servizi da destinare all’isola, dato che la dinastia asburgica, ammalata di potenza, investì tutti gli introiti in guerre di mantenimento del potere imperiale nei Paesi Bassi, impoverendo la nascente borghesia siciliana, frenandone lo sviluppo. Ma Ligresti va oltre: contro la critica dello storico Koeninsbeger che aveva rilevato la scarsa partecipazione della classe militare siciliana alla moderne guerre europee e alla stessa guerra dei 30 anni; il Nostro Autore, invece, dopo attente ricerche in più parti del volume, dimostra che nell’età degli Asburgo di Spagna e degli Austras una proiezione militare non era affatto mancata, pur in assenza di un esercito nazionale. Un esempio, fra i tanti citati, fu quello di Francesco Salomone, che nel 1503 partecipò da eroe alla disfida di Barletta. E che la Sicilia fu anche campo di battaglia nella tante guerre europee, Ligresti lo ricorda per la battaglia navale di Avola e Capo Passero del 1718, fra la flotta spagnola e la flotta inglese, dove quest’ultima sbaragliò la prima e le cui tracce sono state di recente ripercorse, col rinvenimento di un cannone spagnolo sui nostri fondali, evento su cui torneremo. Dunque, un approfondita ricerca sull’élite territoriale siciliana al servizio delle monarchie europee nell’Italia preunitaria, che non poteva non riflettersi sull’appuntamento cinematografico. Di qui, la scelta del film Il destino di un guerriero, basato sulle avventure di un modello letterario dei nostri giorni, il Capitano Alatriste, creato dallo scrittore spagnolo Perez Reverte. Film storico tratto da un romanzo storico, condito da azione, avventure, amori e drammi per tutti i personaggi, è prodotto classico della macchina da presa, nondimeno del romanzo storico francese di Dumas e dello scozzese Scott, che influenzarono i nostri Manzoni e D’Azeglio, quest’ultimo autore di un Ettore Fieramosca da riscoprire. Diego Alatriste è l’eroe malinconico che perde nella battaglia di Nordlingen l’amico Balboa; che partecipa da mercenario all’assedio di Breda e che muore da eroe a Rocroi, dopo un’intensa vita di amori e di colpi di spade a Madrid, inseguito da un barone siciliano rivale in carriera e geloso delle sue donne. Un po’ D’Artagnan, un pò Cyrano, con accompagnamento di mercenari tedeschi e turchi, ma tutto intriso di salsa europea. E questo spirito europeo, fuori dalle pastoie nazionaliste di primo ottocento, quando ancora la prima globalizzazione economica seguiva passo passo la nascita della borghesia imprenditrice, aveva come terreno di espansione culturale la Sicilia, con la tradizione illuminista del Grand Tour, che aprirà le porte alle tradizioni artistiche, letterarie e culturali di larga parte dell’isola. Purtroppo, la cultura postunitaria ha sepolto la coscienza sociale di questi eventi, relegando l’élite culturale e scientifica siciliana in una nicchia di studi, che la rivista Itinerari tenta di disseppellire con un lavoro unitario di ricerca, raccolta e riproposizione storica, risalendo alle coordinate presenze di non pochi scienziati e studiosi di lingua tedesca. E su questo crinale ci siamo posti, andando a presentare il n, 6/2014. Giunta al secondo anno di pubblicazione, il predetto fascicolo conta di 23 articoli riguardanti anniversari – e qui spicca il ricordo della prima guerra mondiale- scrittori siciliani – per es. Sebastiano Addamo e Leonardo Sciascia – paesaggi di primo ottocento – è il caso della Torre dei diavoli, in un ritratto del vedutista tedesco Louis Gurllitt – e manoscritti antichi, nella specie poesie della scuola poetica siciliana del ‘200 ritrovate negli archivi di stato di Bergamo. Ma ancora ritroviamo note di cinema – una recensione al film Via Castellana Bandiera – e resoconti di petrografia antica, come quelle raccolte al Museo Archeologico Paolo Vagliasindi di Randazzo. E non mancano biografie di illustri siciliani, come il benedettino Francesco Tornabene Roccaforte e Ettore Majorana sul mistero della sua morte. Un florilegio di storia, letteratura, arte e tradizioni popolari che merita di essere incrementato, non solo materialmente, a pena di dimenticare pericolosamente la nostra identità.
CONFERENZA PROF. LI GRESTI 14-03-2014 |
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CAFFE LETTERARIO DEL 18-03-2014 |
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