Riceviamo e pubblichiamo l'interessante intervento del Prof. Marino Freschi, insigne germanista, nostro prossimo ospite l'11 aprile p.v.
Il giornalista Joseph Roth
Uno dei massimi protagonisti della Grande Vienna, Joseph Roth, ma ebreo galiziano, nato a Brody, vicino a Leopoli, oggi Lviv in Ucraina, ma formatosi negli anni artisticamente più creativi della capitale danubiana, viene riproposto dall'attivissima casa editrice romana, Castelvecchi, in due volumetti, che raggruppano alcuni degli articoli più vivaci dell'autore della Marcia di Radetzky. Roth è stato un grande giornalista, che tendeva a raccogliere i suoi interventi, come avvenne con gli articoli che scrisse come inviato speciale in Italia col titolo La Quarta Italia (a cura di Susi Aigner, pagine 56, 58), che sono un'arroventata denuncia del regime mussoliniano. Gli elzeviri non piacquero alla direzione del giornale, la «Frankfurter Zeitung», il più autorevole quotidiano della Germania tra le due guerre che tentava di accattivarsi l'opinione pubblica tedesca conservatrice, risparmiando critiche eccessive al Duce, che in quegli anni non si era ancora allineato a Hitler. Ciò veniva molto apprezzato dalla proprietà ebraica del quotidiano, ma assai meno da Roth che aveva immediatamente compreso lan natura poliziesca del regime fascista. Il risultato di questi interventi fu una clamorosa rottura tra Roth e il giornale, che si ricompose non senza difficoltà. L'altro libretto di Roth, Autodafé dello spirito (sempre a cura di S. Aigner, pagine 112, €12) propone sempre articoli, scritti ormai nell'emigrazione, che testimoniano la lucida percezione dell'immane minaccia, rappresentata dal Terzo Reich, la cui natura criminale Roth aveva avvertito con grande anticipo. Per Roth l'unica via di salvezza consisteva nel non cedere alla politica aggressiva dei nazisti. Condannò con intransigente coerenza la resa con il patto di Monaco della Francia e dell'Inghilterra all'avventurismo bellicoso di Hitler. Per lui la salvezza era – paradossalmente – rappresentata dall'impossibile utopia della restaurazione dell'Impero asburgico. In ciò gli scrittori della Mitteleuropa austriaca erano concordi e da Schnitzler a Hofmannsthal, da Musil a Stefan Zweig avrebbero sottoscritto il finale di un nostalgico articolo di Roth del 1935: « Ti saluto, Kaiser della mia infanzia! Ti ho sepolto: per me non sei mai morto!». Progetto improponibile, certo, ma dietro il sogno vi era la consapevolezza che quel caleidoscopio mitteleuropeo poteva trovare un equilibrio solo in una compagine statale sovranazionale: basta pensare a ciò che sta accadendo in Ucraina! In ciò la sua intuizione è ancora attuale, mentre la sua scrittura non ha perso la travolgente intensità narrativa, che affiora potentemente anche nell'elzeviro giornalistico.
Prof. Marino Freschi