Adorno a Napoli

Cambia. Sì, la Germania cambia proprio. Ora abbiamo una bella e divertente dissertazione accademica di Martin Mittelmeier su Adorno a Napoli, scritta in gran parte al Café zum Kloster a Monaco. Impensabile nella severa Germania di una volta! Ma le sorprese non finiscono qui. Infatti la tesi del libro – Adorno in Neapel (casa editrice Siedler, pagine 304, €23) – è sbalorditiva: nel settembre 1925 quattro tra i più grandi pensatori della Germania del primo Novecento (quando la cultura tedesca era egemone nell'Occidente), Adorno, Benjamin, Kracauer, Sohn-Rethel si trovarono a Napoli (e dintorni, ovvero Capri e Positano). Non era turismo, bensì un momento di distacco e di lavoro per interrogarsi a vicenda. Benjamin si era portato 600 schede per la sua dissertazione sul teatro barocco (la scriveva al Café Morgano, alias per i tedeschi Zum Kater Hiddigeigei e infatti non fu accettata: Germania di altri tempi), Sohn-Rethel aveva «una montagna di carte» per scrivere un epocale commento ai primi due libri del Capitale di Marx, mentre Kracauer, che era già un affermato collaboratore delle pagine culturali della «Frankfurter Zeitung», tentava l'impossibile contaminazione tra la filosofia di Kierkegaard e il romanzo giallo e si struggeva di passione per il giovane Adorno in un rapporto di ambigue tensioni. Inoltre c'era il paesaggio, ancora non devastato dalla speculazione del secondo dopoguerra. Le gite sul Vesuvio divennero per Adorno indimenticabili rivelazioni della pericolosità della natura e insieme della possibilità che tutta l'orgogliosa modernità potesse essere spazzata via dalla potenza vulcanica. E intanto le escursioni venivano cadenzate da discussioni interminabili, che sconvolsero il giovane Adorno, allora ventiduenne. Per tutti e quattro Napoli rappresentò una fondamentale esperienza. Peter Szondi, il più raffinato conoscitore del pensiero di Adorno e di Benjamin, scrive che a Napoli affiorò «la via per rintracciare per le smarrite origini del sociale». Proprio il ritardo nella modernizzazione permetteva ancora di intravvedere modalità arcaiche, di una civiltà contadina al tramonto eppure ancora con emozionanti guizzi di vitalità. Il simbolo di questa ambivalenza sociale era rappresentata dalla "porosità" del tufo. Questa pietra divenne l'emblema per un'altra modernità, per una utopica struttura "buccherellata", meno rigida, flessibile, duttile che non aveva nulla in comune con la compattezza granitica del capitalismo nordico, mentre l'insidia vesuviana si tramutò negli anni seguenti in una metafora possente dell'eruzione nazionalsocialista. Martin Mittelmeier, ne parlerà a Roma, alla Casa di Goethe, a via del Corso,18, giovedì 22 alle ore 18, con Dieter Richter. La provocazione del libro consiste nell'enunciato che, secondo l'autore, Napoli, a mo' di fenomeno carsico, avrebbe fermentato nell'immaginazione filosofica di Adorno per riaffiorare durante l'esilio americano a New York e a Los Angeles e soprattutto al ritorno nella Germania Occidentale. Napoli avrebbe innervato il pensiero di Adorno con cospicue tracce in numerosi saggi, nonché nelle voluminose opere della maturità Dialettica Negativa e Teoria Estetica, divenendo «il principio strutturante delle composizioni dei suoi testi». Una siffatta tesi si irradia su una constatazione non del tutto improbabile: per Adorno Napoli avrebbe rappresentato la nascita di una nuova e mai più smarrita «percezione del mondo», diventando in tal modo la «chiave universale» per i suoi testi più cifrati ed "esoterici". Del resto leggere Adorno comporta sempre la strana esperienza di imbatterci in una struttura filosofica assai complessa che improvvisamente si apre a squarci di umanità imprevedibili e imprevisti. In questo senso Napoli è il fermento del suo pensiero al punto che Mittelmeier giunge a scrivere una stupefacente provocazione: «Chi sa, forse, se i tempi fossero stati più favorevoli, ci sarebbe potuta esser invece della "Scuola di Francoforte" una "Scuola napoletana"», poiché per Adorno (e anche per Benjamin e per altri versi per Ernst Bloch, che fu a Napoli nel 1924) la città con il suo paesaggio meridionale risvegliava una nostalgia che divenne «il codice genetico di una teoria di successi e di conseguenze per la storia della Germania del secondo dopoguerra». Insomma, Napoli si pone a ragione accanto a Vienna, dove Adorno fu allievo di Alban Berg nella composizione musicale, nonché con la nativa Francoforte e con le stazioni dell'esilio, soprattutto quello californiano, quando Adorno divenne il "consigliere segreto" di Thomas Mann nella stesura del Doktor Faustus. Una città che con la lontananza assunse i tratti di una grandiosa metafora della modernità e insieme dell'antimodernità. Una metafora che percorre, sotterraneamente, la sua scrittura che è filosofica, ma anche poetica e proprio quell'elemento poetico in Adorno si chiama Napoli.

 

   Invia l'articolo in formato PDF