Carissimi soci e amici, un anno dopo la presentazione della raccolta di saggi La cultura scientifica nella Sicilia borbonica, ritornano il prof. Domenico Ligresti e il dott. Lugi Sanfilippo a proporci la continuazione delle loro precedenti ricerche; Il progresso scientifico nella Sicilia dei Borbone. Recensiti da una organica analisi più che positiva di Paolo Giansiracusa, che merita di per sé di essere valutata, come ci ripromettiamo di fare in seguito e che va ascoltata con grande attenzione; i due contributi – “la scienza, gli scienziati, le istituzioni scientifiche” di Domenico Ligresti; “i benedettini siciliani e la nuova cultura scientifica: profili” di Luigi Sanfilippo – si chiedono preliminarmente se la Sicilia Borbonica – fin dal '700 quando era ancora un regno autonomo e poi dal 1815, unificata al Regno di Napoli come “Regno delle due Sicilie” – avesse una propria e autorevole cultura scientifica, o se soffrisse di una crisi culturale parallela alla conclamata crisi economica e produttiva che già nei primi decenni dell'800 sembrava classificarlo fra i regimi più poveri dell'Europa. Sappiamo quanto si è scritto per demistificare tali interpretazioni, dovuta all'egemonia culturale idealista nella storiografia di fine secolo e confortata dai indagini superficiali, se non tendenziose, soltanto oggi ribaltate dalla storiografia socio-economica degli ultimi decenni del '900 e ormai consapevole della situazione meridionale della prima unità dell'800, dove convivevano a macchia di leopardo realtà produttive estremamente variegate. Infatti, attualmente, va emergendo il fatto che l'economia borbonica non era del tutto arretrata – basti pensare alla Sicilia costiera dove vanno rilette e revisionate situazioni agricole avanzate e aree sorprendentemente più industrializzate del Nord – e così va riaperto il discorso della presenza di scienziati siciliani all'estero e, soprattutto, di scienziati stranieri in Sicilia. Tale presenze furono regolari o eccezionali? Alla luce del Progetto Regionale di Rilevamento delle fonti sulla cultura scientifica nell'età borbonica, già oggetto dell'incontro dell'anno scorso, la risposta non può che pendere per la regolarità, anzi per la consistenza della loro presenza, visto che la ricerca segnala ben 1500 nomi di scienziati menzionati fra i documenti acquisiti del'700 illuminista fino all'Unità d'Italia. E i tedeschi? Tanti e importanti: F. Hoffmann, chimico e industriale, J. Jacob Heckel, naturalista, W. Sartorius von Walthershausen vulcanologo; R. A. Philippi;, zoologo; R. von Mohl, economista e matematico; C. L. von Buch, paleontologo; J. Hermann, fisico, C. Rafinesque Schmaltz biologo. E, poi, le relazioni fra accademie locali germaniche, prima fra tutte la corrispondenza epistolare e lo scambio di visite fra la Accademia Gioenia di Catania e la notissima accademia Federiciana di Berlino, senza contare le spedizione scientifiche tedesche sull'Etna di Waltherhausen, i cui risultati fanno ancora da guida per la attuale vulcanologia. Neppure i siracusani possono vantare minori meriti dei colleghi catanesi, fra cui spiccano i fratelli Gemmellaro: pensiamo all'abate benedettino Emiliano Guttadauro (1759-1836) e, soprattutto, all'ing. Alessandro Rizza fondatore del cenacolo mazziniano “Archimede” e protagonista del congresso degli scienziati italiani del 1845, luogo ricordato dalla recente storiografia come una delle palestre più autorevoli del Risorgimento. Sia da parte laica che da parte ecclesiastica dunque, un fervore scientifico che, se non produsse scoperte o idee di rilievo mondiale, come avvenne per la Gran Bretagna di Darwin o la Francia di Eiffel, tuttavia innestò un contesto di idee che nel nuovo secolo avrebbe riportato l'Italia giolittiana fra le nazioni più avanzate d'Europa per effetto di un balzo inusitato della produzione industriale. Non chiediamoci dove saremmo potuti arrivare se eventi naturali – per esempio il terremoto di Messina del 1908 – o lo spirito protezionista e mercantilista del nord non avessero distrutta la fiorente industria manifatturiera del sud e della Sicilia …. Ma questo sarebbe un accattivante esercizio”alternate history”, che per ora non ci interessa. Piuttosto, da storici del territorio è opportuno svelarne i tesori sepolti e verificare quanta verità o falsità la mitologia parastorica abbia edificato, approfittando, spesso, delle connivenze del potere pubblico locale pronto troppo spesso a tradire le speranze e la fiducia dei siciliani. Ma anche questa è un altra storia… Ringraziamo i due Autori per la Loro sapiente ricerca e ascoltiamone le interssantissime indicazioni.
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