Carissimi soci e amici, siamo quasi alla metà dell'anno sociale, che si è conclusa l'8 giugno col “ritiro culturale”in agriturismo, dedicato alla presentazione del volume monografico sulla Cultura scientifica in età borbonica, scritto da due fedelissimi amici, il prof. Domenico Ligresti e il dott. Luigi Sanfilippo, del quale torneremo a parlare a breve. Ora, però è il momento di presentare un'altra amica, Maria Grazia Seminara, docente di drammaturgia musicale all'università di Catania. La relatrice ha mirabilmente conversato su Verdi e Wagner, a conclusione del nostro trimestre dedicato alle celebrazioni del bicentenario della nascita dei due massimi operisti europei. Prima, però, di ascoltare le acute Sue osservazioni – a commento di alcune fra le più belle pagine di Rigoletto, Traviata, l'Oro del Reno e il Crepuscolo degli Dei – Noi ci poniamo il quesito se l'occasione del bicentenario abbia contributo alla “verdizzazione di Wagner” oppure alla “wagnerizzazione di Verdi”. E' noto che Wagner nel Parsifal e, non molto prima, nei Maestri cantori di Norimberga, abbia un pò ceduto allo spirito verdiano, avvicinandosi alla drammaturgia e alla melodia mediterranea, addolcendo i caratteri vocali, limitando la potenza dell'orchestrazione e, soprattutto, addivenendo a tematiche religiose e fideiste che innervosirono non poco Nietzsche, che da Suo fautore, ne divenne un feroce critico. Ma è altrettanto noto come i caratteri vocali, l'orchestrazione e la stessa dinamica scenica, fino al tormentato canto dei protagonisti, abbia avuto un significativo cambiamento delle ultime due opere di Verdi, lette spesso in chiave wagneriana, l'Otello e il Falstaff. Vi anticipiamo, però, che Maria Grazia Seminara, lungi dai lodevoli tentativi di assimilazione, pur senza cedere nel superficiale separatismo rigido fra i due autori, ha insistito nel diverso carattere dei due, fin dallo spirito iniziale dei loro due messaggi. Invero, sebbene il dramma musicale è il loro terreno comune, é anche vero che i loro ideali e le loro vite ebbero risvolti mai analoghi, tanto erano diverse le contestualità storiche in cui vissero. Wagner, divorato dai debiti e nemico della società borghese, decise di ritornare al mito per rifondare la società materialista e capitalista della metà dell'800; Verdi, invece, economo e programmatore, riservato e agiato benestante, memore degli “anni di galera”, dove aveva perduto moglie e figlio, si era preparato alla maturità e alla vecchiaia con un piano di progressiva stabilizzazione delle entrate e delle spese. Wagner, invece, se non avesse avuto la fortuna di incontrare Ludwig di Baviera, non avrebbe avuto che la sorte di Chopin e di Schubert, o degli stessi Donizetti e Bellini, morti in condizioni economiche non particolarmente floride. Verdi fu più attento, non solo nella gestione degli introiti dai vari contratti che lo costrinsero a lavorare indefessamente per un decennio – 1839/1849 – ma sviluppò una sapiente opera di investimenti agricoli nelle sue tenute parmensi, fino ad accumulare un discreto patrimonio che gli permise di donare ai musicisti in pensione una casa di riposo ancora operativa a Milano. E poi, Verdi lavorava in gruppo, rivedendo i testi con i librettisti e collaborando coi direttori d'orchestra e i direttori di scena, pur non disdegnando di intervenire alle prove, come avvenne nell'Otello. Wagner, al contrario, era un dittatore dell'opera, che voleva dirigere e scrivere personalmente, la c.d. opera totale, dove canto, poesia e danza erano semplici satelliti della musica orchestrale. Tuttavia il risultato fu sublime per entrambi: come per Verdi l'obiettivo era quello di “inventare il vero”; per Wagner occorreva “mitizzare il reale” finalità che avrebbero rimosso parallelamente quelle incrostazioni borghesi che avevano sepolto il vero spirito dell'uomo, con la musica divenuta il vero specchio dell'anima. Da questo messaggio fu investito la musica del '900, Da Richard Strauss a Giacomo Puccini, complici Freud e Thomas Mann, Pirandello e Svevo. Ma questa è un'altra storia.. Ma ascoltiamo, ora, Graziella Seminara, cui va il nostro plauso e un pressante arrivederci al prossimo anno, magari per la presentazione di un Suo poderoso tomo su un altro grande del '900, Alban Berg, che per merito Suo sta uscendo in Italia dalle nebbie che lo avevano da sempre avvolto.
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