Carissimi soci e amici, nel quadro delle conversazioni di cultura italo-tedesca e in armonia al programma del secondo trimestre, basato principalmente sulle figure di Wagner e Verdi, nel secondo centenario della loro nascita, Giuseppe Testa, caporedattore della “Sicilia”, scrittore e saggista, ci ha intrattenuti sul “concetto di mito nel pensiero freudiano” (22 marzo u.s.). Dopo il caffè filosofico del 15 u.s., incentrato sul notissimo amore/odio fra Wagner e Nietzsche, nulla di più coerente e conseguenziale poteva essere trattato. La tetratologia nibelungica e il ritorno alle radici germaniche, temi comuni ai due grandi tedeschi citati, spinsero Freud a a rileggere il mito dell'Erda, il seno materno della grande patria germanica che Wagner aveva ritrovato fin dall'Oro del Reno. Anzi, mentre l'irrazionalismo del poeta Bechhofen negli anni '20 fecondava da Nietzsche le correnti reazionarie che alimenteranno il nascente nazismo; Freud e poi Jung interpretarono diversamente le realtà mitiche, ora intese come rifiuto del “borghese”, andando alla ricerca dell'umano attraverso l'analisi psichica. Rilanciando le radici dell'uomo, Freud ne rilevava l'emancipazione, non certamente la nostalgia di un ritorno all'età dell'oro, meno che mai il mito della madre terra. Dunque, il mito veniva visto come rifondazione della vita quotidiana e il ritorno al denaro come mezzo e non come fine… Non solo: la rilettura che Freud fa di Wagner spiegava l'incantamento prodotto dalla sua musica e la scoperta del loro “particolare”. Per Freud, i ricordi, le speranze, i presagi, i sogni, costituiscono il noto “leitmotiv” di Wagner e “l'eterno ritorno di Nietzsche. Era chiaro, però, a Freud che il mito esulava dalla nostalgia e dalla volontà di dominio del Superumano. Piuttosto, diventava forza significativa e strumento di alla comprensione delle nevrosi.
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