Mercoledì 8 febbraio, il prof. Federico Cresti – professore ordinario di Storia dell’Africa alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania – ha tenuto una brillantissima conversazione sull’espansione coloniale tedesca in Africa e si è soffermato sulla storia della colonizzazione italiana della Libia, anche prendendo spunto dal film Il leone del deserto, da Noi visto lo scorso 3 febbraio.
Dopo un’accurata ricostruzione storica delle ragioni che ci portarono nel 1911 in Libia; il Relatore ha ricordato le oscillazioni del Governo Italiano fra una politica della carota e un’altra del bastone lungo il ventennio fino al 1931, quando, dopo una lunga campagna di sterminio delle popolazioni beduine, la morte del mitico Omar al Muktah mise fine alla guerriglia.
Quindi la colonizzazione delle famiglie italiane: a ondate, un manipolo di coltivatori emigrò sulla c.d. montagna verde, una sottile striscia di terreno più fertile della Cirenaica, a ridosso del deserto africano, strappata con la forza a quelle popolazioni locali.
Le fotografie raccolte ci hanno mostrato le trasformazioni agricole e delle città, nonché un inizio di modernizzazione, durato quasi un decennio fino alla invasione inglese dopo El Alamein.
Valse la pena lo sterminio di un popolo? Se è almeno vera la cifra dei 150.000 persone vittime delle stragi del generale Graziani – a fronte del modesto risultato raggiunto dai 20.000 coloni, o poco più, insediati nel decennio di pace – quale giudizio di equilibrio potrà esprimere la bilancia della storia?
In Non desiderare la terra d’altri, ultimo libro di Cresti, la risposta è evidente: malgrado sia rilevante l’eccezione sul ruolo del contesto e della buona fede culturale delle popolazioni vincitrici; è pur vero che i valori superiori di difesa della persona e dei popoli non possono non pesare di più sui piatti di quella bilancia.
Ma ecco le parole di Federico Cresti.
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